La felicità è sempre più la variabile che sposta gli equilibri in fatto di occupazione professionale.
Dare importanza ad ogni persona e trattarla con rispetto e gentilezza: sembra una frase ovvia e che dovrebbe essere il must dell’educazione civica. Purtroppo non è così e le situazioni più negative, spesso, si vengono a creare all’interno degli ambienti lavorativi. Per questo è necessario ripensare i paradigmi persona-lavoro rivedendo e ampliando il valore del tempo che viene trascorso all’interno dell’azienda e arricchendolo di nuovi significati. Il sistema economico occidentale è in crisi per diverse ragioni, ma soprattutto è in difficoltà proprio sull’aspetto sociale del lavoro che deve partire dai concetti di rimettere al centro la persona e la sua professionalità, di creare un gruppo dove le personalità e le competenze siano la formula vincente, di organizzare un ambiente lavorativo funzionale alle dinamiche interpersonali.
Il professionista non è più disposto a lavorare su progetti o attività subìte, dove non può far emergere anche le sue considerazioni, i suoi talenti, dove non ci sia quel giusto confronto: è una nuova consapevolezza che evidenzia come sia cambiata profondamente la scelta del posto di lavoro da parte della persona. In tutto questo la tecnologia, in particolar modo dopo la pandemia, ha sicuramente dato un altro duro colpo alla felicità professionale aumentando la “solitudine” dei lavoratori con lo smart working, il proliferare delle call online, l’abbandono dei luoghi aziendali se non per sporadici periodi.
Da qui scaturisce l’importanza di ri-accedere il motore del piacere di lavorare, di farlo in un luogo motivante e di sentirsi appagati. Per garantire a tutti il diritto di stare in luoghi di lavoro virtuosi e inclusivi, dove le condizioni della persona vengono prima delle strategie aziendali e dove, grazie a questo sistema, si possa creare quel cambiamento culturale: per rendere concreto questo assunto è necessario essere felici di ciò che si fa e con chi lo si fa. Bisogna dare ai propri dipendenti una voce, ascoltarli e aprire un canale di dialogo autentico: questo è il primo passo per sostenere la crescita professionale ma anche la diffusione di uno spirito di team efficace. Chi lavora felice darà di più sia in termini di tempo che di energie.
Stiamo vedendo sempre più diffondersi la figura del Chief Happiness Officer, il manager della felicità, un po’ un’evoluzione del ruolo di HR manager classico: è un’altra chiara testimonianza di come il valore umano sia al primo posto. La grande sfida è proprio qui: in un mondo iper specializzato e super competitivo, dobbiamo ritrovare il gusto del sorriso, la bellezza dell’ascolto, la serenità del lavorare bene, creando così comunità aziendali di uomini e donne uniti per un obiettivo comune: dare il proprio contributo alla società e al pianeta.
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